giovedì 17 gennaio 2013

LA FILOSOFIA DEL VALUE INVESTING


Nella prima parte di questo articolo ho esposto tre dei nove principi in cui Mohnish Pabrai (nella foto a fianco) sintetizza, nel suo recente libro The Dhandho Investor, la filosofia del value investing. Si trattava, come abbiamo visto, delle seguenti regole:
1. Concentrati nell’acquisto di quote di aziende già esistenti e ben avviate.
2. Investi in aziende semplici operanti in settori poco soggetti al cambiamento.
3. Compra aziende in difficoltà in settori in difficoltà.
Vorrei ora affrontare questi altri tre principi:
4. Compra aziende con un durevole vantaggio competitivo: il “fossato”.
5. Scommetti con forza quando le probabilità sono nettamente a tuo favore.
6. Concentrati sui giochi di arbitraggio.
Vediamoli in dettaglio, a partire dall’analisi del vantaggio competitivo, uno degli storici punti di forza del value investing e, in particolare, dell’approccio agli investimenti di Warren Buffett, il riconosciuto maestro di Pabrai.
Compra aziende con un durevole vantaggio competitivo
(Nei nostri investimenti) cerchiamo aziende che riteniamo siano praticamente certe di possedere enorme forza competitiva anche tra dieci o vent’anni”, scrive Warren Buffett nella sua lettera agli investitori del 1996.
Perché? La ragione è semplice. Si tratta di una caratteristica che assicura ottimi rendimenti nel lungo periodo. Come osserva Pabrai, “Buone aziende con dei buoni ‘fossati’ (vantaggi competitivi che proteggono dalla concorrenza, come i fossati di un castello, ndr) generano ritorni elevati sul capitale investito.”
Uno sguardo ai bilanci può dunque consentire di individuare aziende con dei vantaggi competitivi. Se anno dopo anno la redditività del capitale investito è sensibilmente superiore alla media, è logico dedurne che l’azienda ha dei punti particolari di forza che la rendono difficilmente aggredibile.
(I conoscitori della Formula Vincente di Joel Greenblatt, di cui ho scritto dettagliatamente in un altro post, avranno riconosciuto dei tratti familiari: la redditività del capitale investito – definita come EBIT/capitale circolante netto + immobilizzazioni nette – è infatti uno dei due parametri su cui la formula si basa).
Naturalmente, una volta rilevato che un vantaggio competitivo esiste, il problema è capire se e fino a che punto sarà durevole.
L’armamentario concettuale per condurre un’approfondita analisi delle condizioni di concorrenza in un mercato si deve, in larga misura, agli studi di Michael Porter, un professore alla Harvard Business School autore di due opere diventate dei classici: Competitive Strategy (1980) e Competitive Advantage (1985).
In esse, Porter prende le mosse dall’individuazione di 5 forze competitive, che assieme determinano l’intensità della concorrenza e, di conseguenza, la redditività di un’industria: la minaccia di ingresso di nuovi concorrenti, la minaccia di sostituzione dei prodotti o dei servizi, il potere contrattuale dei fornitori, il potere contrattuale dei clienti, il grado di rivalità tra i concorrenti esistenti.
Porter procede quindi ad analizzare le tre strategie che, in genere, le aziende hanno a disposizione per far fronte alle 5 forze competitive: leadership di costo, differenziazione (ad esempio, la capacità di offrire prodotti o servizi percepiti come “esclusivi”), focalizzazione (su un determinato target, segmento, o mercato geografico).
Non è questo il luogo per approfondire il modello di Porter. Sta di fatto che per il value investor è essenziale darsi degli strumenti per comprendere la forza competitiva delle aziende, e allo stesso tempo coglierne i limiti.
Partire da una migliore consapevolezza dei limiti è forse l’approccio più facile.
Per esempio, Pabrai cita tra le società che hanno saputo edificare attorno a sé dei grandi “fossati” nomi come American Express, Coca-Cola, BMW o Harley Davidson, o, in tempi più recenti, eBay, Google e Microsoft. Tra quelle praticamente prive di “fossati” ne indica altre, “nobili” decadute come Delta, Gateway o General Motors.
L’osservazione interessante è che anche per aziende come Delta, Gateway o General Motors c’è stato un tempo in cui godettero di rilevanti vantaggi competitivi, che le resero grandi. E’ però nella natura della competizione capitalistica procedere, via via, alla distruzione di questi “fossati.”
Pabrai cita uno studio di Arie de Geus, pubblicato nel 1997 in un libro dal titolo The Living Company.
In esso de Geus mostra come l’aspettativa di vita media di una blue chip americana, che arrivi a essere inclusa nell’indice Fortune 500, non supera i 40-50 anni. Ci vogliono 25-30 anni perchè un’azienda di grande successo entri nell’indice. A quel punto è già oltre l’apice della sua parabola: nell’arco di meno di 20 anni, la blue chip in genere cessa di esistere.
E’ per questo che, nel calcolare il valore intrinseco di un’azienda, Pabrai raccomanda di non utilizzare mai più di 10 anni di cash flow, e di non superare mai multipli di 15 volte il cash flow per calcolare il valore terminale. Le forze della “creazione distruttiva” sono imponenti, e nessuna posizione di vantaggio competitivo è destinata a durare indefinitamente.
Un’altra applicazione di questa analisi dei limiti del vantaggio competitivo ci viene da Warren Buffett, e riguarda la sua nota avversione a investire nel settore tecnologico.
Ecco cosa scrive Buffett nella lettera agli investitori del 1999:
“Diverse delle società in cui abbiamo rilevanti investimenti hanno riportato risultati deludenti nell’ultimo anno. Tuttavia, riteniamo che queste aziende abbiano importanti vantaggi competitivi destinati a durare nel tempo.”
“Tale attributo, che porta a buoni rendimenti di lungo periodo, è qualcosa che io e Charlie (Munger, ndr) pensiamo, ogni tanto, di essere in grado di identificare. Più spesso, tuttavia, non ne siamo capaci – almeno, non con convinzione forte abbastanza.”
“Questo spiega, tra l’altro, perché non teniamo in portafoglio titoli di società tecnologiche (Buffett scrive al picco della bolla del Nasdaq, ndr), anche se condividiamo il punto di vista generale che il nostro mondo sarà trasformato dai loro prodotti e servizi.”
“Il nostro problema – che non riusciamo a risolvere neanche con lo studio – è che non arriviamo a capire quali partecipanti nel campo tecnologico possiedano davvero un durevole vantaggio competitivo.” […]
“Se abbiamo un punto di forza, è nella capacità di riconoscere quando operiamo ben all’interno del nostro circolo di competenza e quando ci avviciniamo al suo perimetro. Prevedere le prospettive di lungo periodo di società che operano in industrie in rapido mutamento va ben oltre il nostro perimetro.”
Semplice e geniale! E nella lettera del 1996 Buffett già aveva toccato questo tema, aggiungendo una divertente metafora.
“Un’industria in rapido mutamento può offrire la possibilità di enormi guadagni, ma preclude la sicurezza che noi cerchiamo.”
“Vorrei sottolineare che, come cittadini, io e Charlie siamo a favore del cambiamento: idee originali, nuovi prodotti, processi innovativi e cose del genere migliorano gli standard di vita del nostro paese, e questo naturalmente è un bene.”
“Come investitori, tuttavia, la nostra reazione a un’industria in fermento è del tutto simile all’atteggiamento che nutriamo nei confronti dell’esplorazione dello spazio: applaudiamo l’impresa ma preferiamo evitare di imbarcarci per un viaggio.”
Scommetti con forza quando le probabilità sono a tuo favore
A questo quinto principio, che Pabrai riassume nella massima“Poche scommesse, grosse scommesse, sporadiche scommesse”, ho già accennato nel mio post Tre buone analisi e una regola del value investing.
Citavo in quell’occasione un bel detto di Charlie Munger: “I saggi scommettono con forza quando il mondo offre loro l’opportunità. Scommettono alla grande quando le probabilità sono favorevoli. Il resto del tempo, non lo fanno. E’ così semplice!”
Vorrei ora qualificare meglio il discorso, che rischia altrimenti di essere scivoloso. E’ evidente che questo principio comporta la concentrazione, anche elevata, dei portafogli. Si tratta di un tipo di condotta consigliabile alla gran parte degli investitori? Assolutamente no.
Il principio di base per un investitore non esperto, che non sia in possesso di informazioni superiori a quelle del mercato, dovrebbe essere la diversificazione e non la concentrazione del portafoglio.
E infatti, per fare un esempio ormai ben noto ai lettori di questo blog, Greenblatt con la sua Formula Vincente raccomanda di investire in una trentina di azioni, rappresentative di diversi settori del mercato.
Si tratta di azioni selezionate in modo da avere, nella media, un’elevata probabilità di battere il mercato. Ma siccome il semplice metodo di selezione (fatto di due soli criteri meccanicamente applicati) non garantisce, a livello di singolo titolo, una probabilità di successo sufficientemente elevata, la raccomandazione è, appunto, di diversificare.
Non è questo, tuttavia, il modo in cui Greenblatt, personalmente, investe con enorme successo da oltre 20 anni. La formula è per lui solo il primo passo. Dopodichè, sui titoli da essa selezionati, Greenblatt procede a una ben più approfondita analisi fondamentale.
Quando arriva a formarsi la convinzione che un titolo abbia un’alta probabilità di battere il mercato nel medio-lungo periodo, lì scommette con forza. Tipicamente, circa l’80% degli asset del fondo da lui gestito sono stati concentrati in soli 5 titoli, le sue 5 idee migliori.
Lo stesso fa da una vita Warren Buffett, di cui è noto come, negli anni ’60, arrivò a scommettere addirittura il 40% dei suoi capitali su un unico titolo, American Express, allora in crisi perché travolto da uno scandalo.
E così si comporta anche Pabrai, che investe di solito in non più di 10 titoli.
Per questi formidabili value investor il problema, una volta identificate le opportunità migliori all’interno del loro “circolo di competenza”, è decidere quanto puntare. C’è un metodo per stabilirlo?
Pabrai cita la formula di Kelly, ideata negli anni ’50 da uno scienziato dei laboratori Bell, John Larry Kelly jr., e che trovò presto applicazioni di successo nel mondo delle scommesse, prima ancora che nei mercati finanziari.
Mettendo in rapporto la propria stima della probabilità di successo di una giocata (investimento) con la quota assegnata dal bookmaker (mercato), si ricava la percentuale ottimale del proprio budget (portafoglio) da impegnare nella scommessa.
Non approfondirò l’argomento, che va, almeno per ora, al di là degli scopi del mio blog. Chi voglia saperne di più potrà trovare una spiegazione semplice ed essenziale, e il modo per calcolare la formula, in diversi siti di scommesse online, come ad esempio BetandSkill.
Una trattazione sofisticata ma relativamente sintetica, rivolta a investitori professionali, è contenuta in un recente saggio di Michael Mauboussin, dal titolo Size matters.
Mentre uno studio completo della formula di Kelly è affrontato nel libro di William Poundstone, Fortune’s Formula.
Quello che merita ricordare è che sistemi come la formula di Kelly possono essere d’aiuto quando un investitore è convinto di saperne di più del mercato in virtù di un “punto di vista diverso, e più corretto”, come dice Mauboussin.
Si tratta di situazioni infrequenti e alla portata solo di alcuni.
Anche quando si presentano, è fondamentale non illudersi: le probabilità che un investitore è in grado di assegnare, nella migliore delle ipotesi, all’evoluzione futura di una società sono solo “un’approssimazione,” come sottolinea Pabrai. E ciò impone che ogni calcolo sia fatto in modo “conservativo.”
Concentrati sui giochi di arbitraggio
L’arbitraggio è un’attività che sfrutta le differenze di prezzo tra beni e attività finanziarie uguali o simili su mercati diversi per generare profitti con rischi molto bassi o inesistenti.
E’ un modo, insomma, per guadagnare senza doversi preoccupare di eventuali perdite: una situazione tanto vantaggiosa che ammettere di averne approfittato, per un investitore di rango, può risultare persino imbarazzante.
Come ebbe a dire una volta Buffett, parlando alla Columbia Law School: “Visto che mia mamma stasera non è qui, vi confesso di essere stato un arbitraggista.”
Ci sono molte forme di arbitraggio. Quelle sui mercati finanziari tipicamente offrono margini che scompaiono in fretta per l’intervento di giocatori specializzati, abili e molto rapidi: sono gli arbitraggi che avvengono, ad esempio, tra azioni correlate (come quelle della Berkshire Hathaway, classe A e B) oppure ancora in occasione degli annunci di fusioni tra aziende (merger arbitrage).
A Pabrai interessa però in particolar modo quello che definisce “Dhandho arbitrage”. Di che si tratta?
Immaginate, dice Pabrai, un barbiere che lavora come dipendente nel salone di una cittadina. A un certo punto nota che di tanto in tanto cominciano ad arrivare clienti da un quartiere di nuova costruzione a un po’ di chilometri di distanza, dove il negozio di barbiere ancora non c’è.
Il nostro comincia a fare un po’ di conti. Quei clienti, se potessero, preferirebbero andare a tagliarsi i capelli vicino a casa. Mettere in piedi una bottega modesta ha un costo limitato. E inizialmente potrebbe dividere il suo tempo, part-time, tra il negozio dove lavora come dipendente e la sua nuova attività.
I rischi sono limitati, e il margine su cui può contare è la distanza fisica tra il quartiere di recente costruzione e la cittadina. Anche se il suo servizio dovesse rivelarsi un po’ inferiore, e i suoi prezzi un po’ superiori, per molti residenti del nuovo quartiere la bottega vicino a casa risulterebbe comunque conveniente.
E’ così, osserva Patel, che molte startup prendono avvio. E per un certo periodo di tempo riescono a lucrare profitti superiori alla norma.
Alla fine, tutti i margini d’arbitraggio finiscono per ridursi fino a scomparire (nel nostro caso, il quartiere potrebbe espandersi ulteriormente e attirare nuovi saloni, finché il rapporto tra botteghe di barbiere e residenti arriverà a essere simile a quello della cittadina vicina).
Per molti imprenditori, l’avvio di una nuova iniziativa non è frutto di uno smodato amore per il rischio, ma deriva piuttosto dall’individuazione di una opportunità di arbitraggio – che a volte può durare per molti anni con margini enormi.
Per l’investitore intelligente, sono queste le società su cui puntare. “Cerca sempre le occasioni d’arbitraggio”, conclude Pabrai. “Consentono di guadagnare elevati ritorni sul capitale investito con rischi bassi o praticamente inesistenti.”
Nella terza parte di questo articolo vedremo gli ultimi tre principi del value investing, nell’interpretazione di Pabrai, con l’aggiunta di una fondamentale postilla sull’arte di liquidare, al momento opportuno, i propri investimenti.

giovedì 13 dicembre 2012

IL GOVERNO REGALA SOLDI AL MPS


Monti e le lobby: l'ultimo regalo alle banche e Monte Paschi

Annacquati i contenuti della Tobin Tax per proteggere gli strumenti derivati e gli speculatori. Grazie anche all'aiuto del Pd, che tanto aveva strepitato. I bond per salvare MPS (foto: AD Mussari): la finanza ringrazia.

Mancano sette giorni alla fine della legislatura. E non si può negare che l'esecutivo Monti abbia fatto un bel poì di regali alle banche.
Mancano sette giorni alla fine della legislatura. E non si può negare che l'esecutivo Monti abbia fatto un bel poì di regali alle banche.
Il contenuto di questo articolo, pubblicato da Il Fatto Quotidiano - che ringraziamo - esprime il pensiero dell' autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

Roma - Sette giorni. Tanti ne mancano, di lavoro parlamentare, alla fine della legislatura. Le Camere procedono a passo di carica – ieri, per dire, è passato con la fiducia a Montecitorio, senza nemmeno un emendamento, il dl Sviluppo in cui si prorogano le concessioni sulle spiagge fino al 2020 – e nella gran fretta dentro i decreti ci si può infilare di tutto, anche quello che un voto parlamentare costringerebbe a dimenticare per sempre.

E’ il caso della Tassa sulle transazioni finanziarie (Ttf), contenuta nel ddl stabilità,che secondo un ordine del giorno approvato alla Camera dovrebbe applicarsi proprio ad ogni transazione, compresi quegli strumenti derivatiche riempiono le pance delle nostre banche: ebbene, secondo il progetto illustrato dal governo in Senato nelle riunioni di questi giorni (l’ultima ieri sera), la Ttf va corretta proprio per escludere i derivati – con l’eccezione di quelli azionari, le briciole – e salvaguardare in generale le operazioni degli istituti di credito. 

Le pressioni del mondo bancario, d’altronde, che s’è fatto forte anche dell’esplicito appoggio di Consob, sono state fortissime. Se, come sembra ormai inevitabile, passasse l’impostazione del governo, in sostanza rimarrebbero a pagare solo gli investitori privati, (anche stranieri), mentre si raccoglierebbero le briciole da speculatori e banche: quello che interessa al governo, infatti, è che chi ha soldi da investire li metta sui titoli di stato (su cui non si paga la Ttf e l’aliquota è dimezzata) o al massimo sui bond emessi dagli istituti di credito (niente tassa anche lì). 

Risultato? Desertificazione di Borsa italiana come strumento di raccolta di credito per le imprese e sua riconversione in casa dei giochi per i traders on line – un terzo dei volumi e il 60-70% dei tickets – che verranno tassati solo per i saldi di fine giornata e non per singola transazione (e comunque troveranno il modo di aggirare la tassa). Saranno esenti, infine, i titoli di società sotto i 500 milioni di capitalizzazione, che però valgono solo il 5% degli scambi.

Oltre ai problemi che creerà al sistema, per di più, questa Ttf rischia anche di diventare un grave problema per il bilancio dello Stato: il governo ha messo per iscritto una previsione di gettito per il 2013 di quasi 1,1 miliardi di euro, ma nella nuova formulazione – spiegano al Fatto Quotidiano ambienti finanziari – difficilmente si arriverà a 100 milioni.

Curioso che il Pd, che aveva bloccato questa operazione a Montecitorio e nonostante le dichiarazioni di principio rilasciate settimane fa, a quanto ci risulta sia in Senato assai più possibilista: Anna Finocchiaro e il suo capogruppo in commissione Bilancio, Mauro Agostini, si apprestano a dare il via libera all’ultimo favore che questo governo sarà in grado di fare al mondo bancario. 

Un favore, peraltro, che si vorrebbe fare pure alla chetichella: l’emendamento per annacquare la Ttf, infatti, non è ancora arrivato nella commissione Bilancio del Senato ed è atteso per venerdì notte o sabato, ultimo giorno utile. L’esenzione non dichiarata dalla tassa sulle transazioni finanziarie non è peraltro l’unico conto con le banche che l’esecutivo tecnico salda in questi ultimi sette giorni di legislatura: nel ddl stabilità finiranno infatti anche i cosiddetti Monti bond, i 3,9 miliardi che il governo presterà a Monte dei Paschi di Siena, accettando di farsi rimborsare gli interessi, in caso di insolvenza, con azioni della banca valutate cinque volte più di quanto faccia il mercato. 

Usciti dal decreto Sviluppo per una questione procedurale, finiti in un testo ad hoc (il "salva-infrazioni" ) che non ha nessuna speranza di essere approvato in tempo, ora entrano in una legge che è obbligatorio approvare. Anche questo emendamento non è ancora stato depositato, ma tranquilli: c’è ancora una settimana.

LA TOBIN TAX BEFFA I PICCOLI AZIONISTI


Tobin Tax, piccoli investitori beffati?

Infuria la polemica. La denuncia: alleggerito il carico delle banche, ora gli istituti possono brindare. Ma come funzionerà la tassa che colpirà i trader italiani, già alle prese con mille altre imposte?

Tobin Tax contro le speculazioni dei mercati? Ma i piccoli investitori sono davvero protetti?
Tobin Tax contro le speculazioni dei mercati? Ma i piccoli investitori sono davvero protetti?
Roma - La Tobin Tax, tanto attesa - e temuta - dal mondo della finanza e dei risparmiatori è arrivata. Tassa dello 0,02% sull'high frequency trading, ergo sugli scambi ad alta frequenza. In poche parole, la tassa sarà applicata al controvalore degli ordini annullati o modificati e che abbiano superato determinate soglie. 

Il governo commenta la disposizione affermando che a essere colpite sono "le operazioni effettuate elettronicamente in periodi di tempo molto ristretti". La norma stabilisce inoltre che "l'imposta venga applicata sugli ordini cancellati o modificati, laddove la proporzione rispetto a quelli eseguiti ecceda una determinata soglia numerica".

La norma scatterà da marzo 2013 per i mercati regolamentati e da luglio per gli scambi sui derivati, con aliquote maggiorate allo 0,12% e allo 0,22% per il 2013. Successivamente dal 2014 le aliquote scenderanno allo 0,1% per i mercati regolamentati e allo 0,2% per quelli non regolamentati ('Otc', over the counte

La domanda è: si tratta davvero di una norma anti-speculazione? Non tutti sono d'accordo: occhio per esempio all'opinione riportata sul Fatto Quotidiano, che descrive la norma, insieme ai soldi erogati per salvare MPS, alla stregua dell'ultimo regalo che Monti ha fatto alle banche. E MF scrive come in questo modo sia stato alleggerito il carico sulle banche. La polemica infuria, si parla di Tobin Tax annacquata, e del fatto che le banche ora possono esultare. 

Nella norma si legge anche che l'imposta di bollo sui prodotti finanziari non potrà superare la soglia di 4.500 euro a partire dal 2013, solamente per i soggetti diversi dalle persone fisiche. 

La Tobin tax non si applicherà alle società a bassa capitalizzazione. "Sono esclusi i trasferimenti di proprietà di azioni emesse da società la cui capitalizzazione media nel mese di novembre dell'anno precedente a quello in cui avviene il trasferimento di proprietà sia inferiore a 500 milioni di euro".L'esenzione "viene estesa agli enti di previdenza obbligatoria, ai fondi pensione e alle forme pensionistiche complementari, in ragione delle funzioni sociali a essi affidate e dell'evidente mancanza di ogni intento speculativo". 

A pagare la tassa saranno invece anche gli intermediari non residenti, che "potranno avvalersi di un rappresentante fiscale" nominato in Italia. Nel caso in cui ci siano più intermediari, l'imposta dovrà essere prelevata dall'intermediario più vicino al soggetto che realizza l'operazione finanziaria. Esenti, invece, i 'market maker', ovvero gli intermediari che operano sui mercati nel quadro di un'attività di supporto agli scambi. Questo perchè "l'attività di supporto agi scambi svolge un ruolo fondamentale nel fornire liquidtà ai mercati e l'applicazione dell'imposta potrebbe rappresentare un freno nei confronti di questa funzione".

martedì 20 novembre 2012

LE 10 AZIONI PREFERITE DAGLI HEDGE FUND


Le 10 azioni più popolari tra gli hedge funds

I grandi manager dell'alta finanza possono sfruttare agganci e notizie in anteprima e perciò comportarsi di conseguenza.
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Per questo motivo è interessante sapere sempre su quali azioni preferiscono orientarsi e di conseguenza capire in anticipo le tendenze del mercato.
Dagli esperti di Market Watch arriva la classifica delle 10 azioni preferite dai grandi manager dei maggiori fondi di investimento.
1) Apple. Nessuna sorpresa. Ancora una volta, Apple è stato il titolo più popolare tra gli hedge fund, scelto da 146 fondi. Highbridge Capital Management, gestito dal miliardario Glenn Dubin, all’inizio di luglio era piuttosto scettico circa le potenzialità del titolo, ma ha dovuto subito ricredersi con l’incremento di ben 120 mila azioni per settembre.
2) Google. 132 contro i precedenti 118 che lo avevano preferito. Platinum Asset Management, un fondo gestito dal miliardario australiano Kerr Nielson, ha puntato sul leder dei motori di ricerca con ben 300.000 azioni, così come anche Tiger Global Management, gestito da Chase Coleman ha preferito incrementarne il peso nel portfoglio.
3) American International Group. Vera e propria passione per 110 hedge fund, tra questi Omega Advisor di Leon Cooperman che ha aumentato la sua partecipazione in AIG del 75%, apprezzata e non poco anche da George Soros.
4) Microsoft Corporation. “Solo” 96 ne hanno sfruttato la solidità anche a causa del boom proprio di AIG. A suo favore, però, la “fedeltà" di Bridgewater Associates, hedge fund gestito da Ray Dalio, la cui presenza su Microsoft è stata la più longeva.
5) Citigroup. Tra le banche, sempre molto ricercate, soprattutto quelle di grandi dimensioni e perciò di forte stabilità, ben 93 fondi tra cui Appaloosa di David Tepper hanno deciso di puntare su Citi aumentandone anche l’esposizione come il megamiliardario che ne ha ampliato la presenza verso la fine del terzo trimestre.
6) General Motors . All’October’s Value Investing Congress, David Einhorn si è dichiarato entusiasta del titolo e ha già annunciato la sua strategia long. Altri hanno deciso di imitarlo e dai 78 fondi iniziali, sono presto diventati 88 a preferirlo.
7) Bank of America. 85 fondi rispetto ai precedenti 82 del precedente trimestre, tra cui D.E. Shaw, un grande hedge fund gestito da David Shaw, il quale sottolinea il suo patrimonio di oltre otto milioni di azioni della banca.
8) JPMorgan. Qui anche c’è stato un rialzo con 83 hedge fund. In primis Fisher Asset Management, di Ken Fisher, che ha più che raddoppiato le dimensioni della sua posizione in JPMorgan Chase nel corso del terzo trimestre dell'anno.
9) Wells Fargo & Company. Berkshire Hathaway, in altre parole Warren Buffett, che non ha mai fatto mancare il suo appoggio al sicuro lido d’approdo bancario. E con lui anche altri 81manager.
10) QUALCOMM. In questo caso, il primo della classifica, molti hanno preferito evitarlo e perciò i fondi che lo hanno in gestione sono 77 dai precedenti 79. Un esempio è Lone Pine Capital di Stephen Mandel che per tagliando la sua quota resta esposto comunque con oltre 400 milioni.

lunedì 19 novembre 2012

STM ESPLOSIVA


STM scoppiettante. Merito anche degli analisti di UBS

Il titolo ha portato a casa un rally di quasi l’8% sulla scia della doppia promozione di UBS; i cui esperti ritengono che il settore dei chip abbia toccato il fondo nella prima metà dell’anno. Le indicazioni da seguire.
Giornata decisamente spumeggiante quella odierna per STM che si è imopsta all’attenzione degli investitori, facendo il pieno di acquisti. Il titolo, dopo aver concluso l’ultima seduta prima del week-end con un ribasso di oltre due punti, quest’oggi si è riscattato con un rally di altri tempi. STM ha conquistato la prima posizione nel paniere del Ftse Mib, mostrando una forza relativa decisamente maggiore di quella dell’indice di riferimento. Le azioni della società italo-francese si osono fermate a 4,578 euro, con un fiammante rally del 7,87%, sostenuto peraltro da corposi volumi di scambio, visto che a fine sessione sono passate di mano oltre 6,8 milioni di azioni, contro la media giornaliera degli ultimi tre mesi pari a quasi 5,6 miloni di pezzi.
A mettere le ali ad STM hanno contribuito anche le positive indicazioni arrivate da UBS; i cui analisti hanno deciso di mgliorare la raccomandazione sul titolo da “sell” a “neutral”, alzando il prezzo obiettivo da 4,2 a 4,3 euro. La decisione è stata presa sulla scia della recente sottoperformance del titolo e in ragione anche della promozione riservata al settore dei chip, al quale STM appartiene.
La banca elvetica ritiene che il comparto dei semiconduttori abbia toccato il fondo durante il primo e il secondo trimestre dell’anno. Gli esperti segnalano che i tassi della capacità di utilizzo degli impianti stiano calando bruscamente nel trimestre in corso, e questa flessione riflette il de-stocking. In coseguenza di ciò UBS stima che i ricavi del settore possano viaggiare sotto i consumi finali del 7% nell’ultimo trimestre dell’anno.
Gli analisti però vedono rischi al ribasso per il settore auto, al quale il gruppo italo-francese è legato, senza alcun segnale di miglioramento. Di contro il mercato dellUBS saluta con favore il fatto che il mercato abbia finalmente capito che non ci sarà alcuna separazione delle attività del gruppo. Con riferimento alla joint-venture ST-Ericsson, l’idea è che la riduzione dei rischi legata alla stessa sarà realizzata tramite degli accordi di collaborazione piuttosto che attraverso una vendita. 
Infine, UBS ha deciso di non mettere mano alle stime sull’utile per azione riferite all’anno in corso e al prossimo, ricordando che gli analisti si aspettano una perdita di 0,29 dollari per azione per il 2012 e un eps di 0,1 dollari per l’anno prossimo.e memorie sta supportando il business di STM a performare in maniera più robusta dei competitors nel breve termine e ciò dovrebbe portare ad un ritorno della crescita dei ricavi su base annua nel trimestre in corso.

PIAZZA AFFARI IN RALLY


Piazza Affari vola. Ottimismo su fiscal cliff: c’è da fidarsi?

L’indice Ftse Mib è il migliore in Europa con un rally del 2,5% aiutato dagli spunti rialzisti di Wall Street. Si guarda con fiducia ad un possibile accordo sul fiscal cliff e intanto cresce l’attesa per la Grecia in vista della riunione dell'Eurogruppo in agenda domani. La view degli esperti.
Brillante avvio di settimana a Piazza Affari dove, dopo la netta flessione di venerdì scorso, l’indice Ftse Mib ha imboccato con decisione la via dei guadagni, allungando progressivamente il passo nel corso della seduta. Nel pomeriggio gli acquisti sono aumentati in seguito all’apertura di Wall Street, dove i tre indici principali viaggiano tutti in deciso rialzo, trainati in particolare dal Nasdaq Composite che avanza più degli altri con un vantaggio di quasi un punto e mezzo percentuale.
Riesce a fare decisamente meglio il nostro Ftse Mib che negli ultimi minuti viene fotografato sui massimi intraday a ridosso dei 15.250 punti, con un vantaggio del 2,65%. Meno vivace la reazione del mercato obbligazionario anche se si assiste ad una contrazione dello spread BTP-Bund che viene scambiato a ridosso dei 354 punti base, con una flessione di circa tre quarti di punto rispetto al close di venerdì scorso.
Tra le blue chips si segnala l’ottima performance di STM che mette a segno un balzo in avanti di oltre il 6%, sulla scia della promozione arrivata da UBS. Molto bene alcune blue chips che nelle ultime sedute erano stato più penalizzate dalle vendite, come Autogrill, Mediaset e Finmeccanica che viaggiano tutti in ascesa di oltre il 4%, ma riesce a fare molto bene anche Fiat Auto che sale del 3,88%.
Denaro sulle banche tra le quali ad avere la meglio è Banca Popolare dell’Emilia Romagna che sale del 4,39%, seguito da Intesa Sanpaolo, UBi Banca, Monte Paschi e Unicredit, tutti in crescita di oltre tre punti percentuali.
Ad alimentare gli acquisti, non solo a Piazza Affari, oltre ad una reazione puramente tecnica dopo le recenti vendite, contribuisce l’ottimismo legato alla scommessa del mercato per una possibile soluzione relativa alla gravosa questione del fiscal cliff. Venerdì scorso sono state avviate le negoziazioni e il presidente Obama ha parlato di un incontro costruttivo, in linea con quanto indicato anche dal portavoce dei repubblicani alla Camera dei Rappresentanti.

WALL STREET IN RALLY


Wall Street: Gli indici partono in netto rialzo

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Wall Street ha aperto in netto rialzo.Immagine: Shutterstock
I principali indici azionari statunitensi hanno aperto oggi in netto rialzo. Il Dow Jones sale al momento dello 0,8% e ilNasdaq Composite dell'1,2%. Il leader politici statunitensi hanno fatto dei progressi nelle trattative volte ad evitare il cosiddetto "fiscal cliff". Barack Obama ha dichiarato di essere fiducioso di trovare un accordo con il Congresso su un nuovo budget. Bank of America (US0605051046) sale del 3,2%.Stifel Nicolaus ha alzato il suo rating sul titolo del titolo dell'istituto di credito da "Hold" a "Buy". Tra i petroliferi Exxon Mobil (US30231G1022) guadagna l'1,5% e Chevron(US1667641005) l'1,3%. Il prezzo del petrolio sale al momento a New York di più del 2%. Lowe's (US5486611073)guadagna il 6,8%. La catena di negozi specializzati nella vendita di articoli per la casa ed il bricolage ha generato nel terzo trimestre un utile operativo di $0,40 per azione. Il consensus era di $0,15 per azione. Tyson Foods (US9024941034) guadagna il 6,5%. Il primo produttore al mondo di carne ha pubblicato uan convincente trimestrale ed alzato il suo dividendo.