Roubini: le ragioni del crollo non sono solo per il Fiscal Cliff
Il mercato azionario ha continuato a scendere dai primi di novembre , in concomitanza con le elezioni statunitensi. Ma il perenne calo, intervallato solo da qualche brevissima ripresa, non è riassumibile solo nella paura del Fiscal Cliff che blocca l’economia americana.
La riforma fiscale che il mondo attende e che invece langue, non è imputabile di una situazione macroeconomica molto più grave. Ne è convinto anche Nouriel Roubini, il popolare analista che vede una rete ben più ampia di responsabilità e di tendenze.
Infatti secondo quanto dichiarato a Business Insider, quella del Fiscal Cliff è una scusa platealmente minimalista: il problema era ampiamente conosciuto anche prima delle elezioni, è stato ulteriormente sviscerate ed esaminato da economisti ed analisti, chiunque temesse degli appesantimenti dati dalla riforma (il reperimento di fondi attraverso ulteriori aumenti di tasse e minori agevolazioni fiscali) ha da tempo preso i dovuti provvedimenti, ed è proprio questo atteggiamento previdente (anche troppo) che ha bloccato gli sviluppi di diversi settori economici che promettevano evoluzioni ben più promettenti di quanto finora registrato.
In una nota ai clienti del suo studio la settimana scorsa, Nouriel Roubini ha dato 6 motivi per cui il rally ha avuto “fiato corto”.
La crescita è debole. La crisi dell'Eurozona è tornata a peggiorare a causa della Grecia (di nuovo) con il mancato accordo, stavolta, dei rappresentanti della Troika i quali non riescono a trovare un punto fermo e chiudere il loro documento. Proprio da ciò, infatti, dalle considerazioni finali, dovranno essere decisi gli stanziamenti delle varie tranche che, alla fine, permetteranno ad Atene di ricevere i tanto agognati 31 miliardi di euro. Il paradosso è proprio in questo passaggio: mentre si accusava il governo di non riuscire a garantire compattezza e continuità nelle riforme dovute, questo ha mantenuto, seppur a fatica, la promessa con le votazioni in parlamento delle misure di austerità, mentre proprio l’organo di vigilanza, adesso, sta avendo i suoi problemi nel chiudere la relazione.
Le preoccupazioni politiche circa la riforma fiscale negli Usa. Gli incontri tra il Presidente e il Congresso hanno avuto inizio la settimana scorsa in via ufficiale e i rappresentanti hanno definito i primi colloqui “costruttivi”, però, intanto, il rischio è quello di giungere a un accordo momentaneo sulle riforme più urgenti, con misure che non accontentano nessuno.
Intanto il QE sta esaurendo il suo impatto, e, a differenza del passato (QE1 e QE2), quest’azione è stata lanciata in un momento di picco del mercato, cosa che non lascia molti margini per ulteriori provvedimenti.
Il tutto proprio mentre il rischio geopolitico è tornato con la guerra tra Israele e i territori di Gaza, che rischia di espandersi verso tutta la zona araba del Medio Oriente con l’Iran e la Siria che non aspettano altro.
Il tutto proprio mentre il rischio geopolitico è tornato con la guerra tra Israele e i territori di Gaza, che rischia di espandersi verso tutta la zona araba del Medio Oriente con l’Iran e la Siria che non aspettano altro.
In realtà nessuno dei fatti in sè rappresenta una sorpresa per gli investitori, il problema reale è la loro simultanea presenza proprio a ridosso di una riforma che potrebbe intaccare le basi della prima economia mondiale direttamente alla radice. Secondo gli esperti, infatti, un mancato accordo tra le parti per il Fiscal Cliff potrebbe incidere sul Pil per percentuali che vanno dal 2% (nel migliore dei casi) al 4% (nel peggiore) cosa che farebbe precipitare gli Usa in una recessione on solo economica, ma anche politica visto che perderebbe il suo potere di negoziazione anche nei confronti della Cina e soprattutto nell’ambito dei petroliferi, per quanto l’IEA, l’International Energy Agency, abbia decretati gli Usa come la prima potenza produttrice di petrolio, scavalcando anche l’Arabia Saudita oggi prima in classifica. Peccato che la previsione si riferisca al 2020. Fino ad allora sarà il Medio Oriente a dettare legge in materia.
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