Come segnala Bloomberg, l’economia islandese rischia una nuova bolla immobiliare ed il dissesto della struttura pubblica che intermedia i mutui. La criticità deriva dalla presenza, nel sistema economico del paese, di una rilevante quantità di liquidità offshore (stimata pari a 8 miliardi di dollari) che non può defluire a causa delle restrizioni imposte dal governo dopo la grave crisi che ha messo in ginocchio il sistema bancario islandese, causando un default del valore di circa 85 miliardi di dollari.
Tale liquidità offshore, denominata in corone islandesi, può quindi solo scaricarsi su asset interni al paese, soprattutto obbligazioni ipotecarie ed immobili. I prezzi degli appartamenti, da aprile 2010, sono aumentati del 17 per cento, tornando di fatto al livello ante-crisi e ponendo le basi per una nuova bolla immobiliare.
I controlli sui capitali sono stati introdotti dopo il crack del 2008, durante il quale le tre banche del paese hanno ripudiato il debito obbligazionario con l’assenso del governo, concentrandosi sulla tutela dei depositanti. Di quell’episodio, a noi italiani è rimasta una ricca mitologia che narra di “default sovrano” islandese (in realtà mai accaduto) e di “ribellione al Fondo Monetario Internazionale”, che invece per ben tre anni ha amorevolmente assistito Reykjavík, avallando (ed incoraggiando) anche i controlli sui capitali. Ma la fantasia degli italiani, come noto, non conosce limiti, soprattutto quando si parla di economia.
Ma l’economia è soprattutto il regno delle unintended consequences: i controlli sui capitali dovrebbero restare in vigore, pur se progressivamente allentati, secondo la banca centrale islandese, fino al 2015. Diversa la posizione del governo, con la ministra delle Finanze che prevede che i controlli sui capitali resteranno comunque in atto fino all’ingresso della corona nell’euro, processo per il quale i colloqui preliminari (iniziati nel 2010) non sono ancora neppure completati. A proposito, ma che diranno i tifosi dell’Islanda ribelle dotata di propria valuta quando arriverà l’euro? Forse al governo islandese è sfuggito qualcosa?
Nel frattempo, e dopo una svalutazione contro euro dell’80 per cento, la corona islandese è di fatto una valuta fittizia, dati i controlli sui capitali, e gli investitori offshore, rimasti intrappolati nella corona, si sfogano comprando case. Il numero di compravendite è aumentato dell’88 per cento nell’ultimo anno, ed il controvalore aggregato delle transazioni è raddoppiato nello stesso arco temporale. Al contempo, anche le obbligazioni ipotecarie sono divenute bersaglio degli investitori “intrappolati”, in particolare quelle emesse dall’originator statale di mutui (Housing Finance Fund, HFF), che ha circa il 60 per cento del mercato e che sta combattendo con le banche commerciali, rinate e rientrate alla grande nel business.
HFF sta venendo disintermediata dalle banche private perché, per legge, può commercializzare solo mutui legati all’inflazione, che oggi in Islanda supera il 4 per cento, mentre le banche private non hanno tale vincolo e collocano mutui facendo raccolta tramite debito ipotecario il cui costo è crollato a causa della forte domanda degli investitori “intrappolati”. La presenza di questa bolla di liquidità da controlli sui capitali ha quindi schiacciato i rendimenti e spinto i mutuatari a rinegoziare con la società pubblica, in un processo del tutto simile a quello visto negli Stati Uniti negli anni che portarono alla bolla. Ma la società pubblica ha costi della provvista di fondi che non sono rinegoziabili, ed ora si trova con uno squilibrio tra costo del debito e redditività (calante) dei propri crediti, motivo per cui rischia seriamente il dissesto, costringendo il governo islandese a fornire una garanzia per evitarle il default e mettendoci pure dei soldi, non è ancora chiaro se tramite tasse o usando i fondi pensione, che ovunque e per definizione hanno le spalle molto larghe
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